lunedì 30 aprile 2012

Tutta sola nella casa vuota




E' ancora difficile ritagliarsi un posto per stare con te. Facevo gli stessi pensieri 10 anni fa ma erano più puliti, senza grinze, anche se grinze, effettivamente, è meno indicato di rughe. Lì la colpa non fu la mia ma dei divieti, degli obblighi, dell'educazione. Non mi piace questo mio modo di esprimermi, come se avessi 100 anni e pochi libri letti al mio attivo.
Ma davvero ho pochissimi libri letti al mio attivo e a volte penso che i numerosi film che guardo siano solo una scusa per non impegnarmi.
Potrei fare di più, potrei, ma non mi impegno. Sento l'ego stretto tra le pareti di cartongesso intorno alla stanza.
In questa casa si sente tutto, ma proprio tutto. Non ho libertà di espressione.
Che cosa succederebbe se mi lasciassi da sola? 
La casa mi parrebbe più grande? 
Che me ne faccio di un tetto più alto sopra la testa?

domenica 18 marzo 2012

Una cassa di aranciata, di te




I didn't believe it could be possible to stay without water for so long.
I didn't believe but then I changed my mind and I realized that you had better things to offer to me than something colorless, tasteless and odorless.
You're surely thinkin' to wine, or beer, brandy maybe.
But I, I just want to drink a case of orange juice of you, Darling.
A funny thing, tickles the tongue, bitter aftertaste, reminds me of spring, or kids.
Yes, if I could, i'd just want to drink a case of orange juice of you, Darling.
I could stay with no blankets, no clothes, no food and no roof but please,
don't take me away from the little cat that softly scratches my throat everytime you gently kiss my girly lips.
I will not live another day without a case of orange juice of you, you know, Darling.

venerdì 10 febbraio 2012

Il tizio che guida la metro (parte seconda)




Mettiamo che il tizio che guida la metro si sia sempre posto il problema dell'essere o meno un passeggero qualunque nell'arco di tempo in cui non compie le sue abituali mansioni lavorative.
Mettiamo che non "prenda" la metro da circa 10 anni.
Dieci anni prima del "giorno della sua insana follia", il direttivo oscuro dell'ATM gli aveva affidato il sacro compito di riportarli tutti a casa, o a fare la spesa, a scopare con l'amante stipata in fondo ad Abbiategrasso, a fare da babysitter ai figli della figlia che ha troppo lavoro per andare a giocare e via discorrendo.
Mettiamo che un giorno decida di mettere da parte i frutti fobici della sua deformazione professionale e approvi l'idea di calcare la soglia verde che, dal forum d'Assago, giunge dolcissima fino al più remoto nord Milanese.
Stoppando l'immagine, come nei migliori film postmoderni dagli anni '90 da "Sliding doors" a venire, il protagonista non potrebbe fare a meno di mettersi a riflettere con lo spettatore ed elencare le fatidiche tre, perché sono sono sempre tre, possibilità che gli si pongono davanti mentre sta in bilico sul suo confine esistenziale:

1- Il tizio che guida la metro non è più molto bravo con l'equilibrio così, come volevasi dimostrare, cade su una ragazzina cinese che, aridanghete, sta silenziosamente piangendo. Lui le chiede se può esserle d'aiuto, lei si sfoga, i due diventano amici, inizia il film drammatico con sfondo sul lavoro minorile.

2- Il tizio che guida la metro prende posto accanto ad un uomo di mezza età, baffuto e col cappello da uomo Moretti, intento a scrivere nervosamente su un taccuino di pelle. L'uomo Moretti scrive e scrive e guarda l'orologio da polso e scrive e rimette la mano nel taschino e riguarda attentissimo le sue lancette dorate.
Il tizio che guida la metro ne approfitta e gli chiede l'ora. L'uomo risponde in una strana lingua dell'est e si gira di scatto, quasi arrabbiato. Cosa ci sarà mai su quel taccuino di così importante da non poter rispondere alla più banale delle domande? Pellicola sullo spionaggio. Classic.

3- Il tizio che guida la metro non si intende di film d'azione ma c'è una cosa davvero classica che almeno una volta è passata a ognuno di noi nella testa quando calchi quella famigerata soglia. E se la porta centrale, quella in fondo al vagone, si aprisse durante la corsa e un turbine d'aria fredda e potente portasse via gli ignari passeggeri dando vita ad uno dei più catastrofici blockbuster hollywoodiani?

Il tizio che guida la metro viaggia molto con la fantasia, si sa, ha un sacco di tempo per pensare. La sua più grande sorpresa una volta salito a bordo, però, l'ha riscontrata nell'affinata tecnica con cui, i passeggeri di quel vagone, hanno continuano la loro corsa guardando per aria, fissando nessuno, parlando di niente.

- Tutta la gente l' ha fuori sta uccidendo i miei sentimenti- Pensa nella sua testolina pelata.

E' bello tornare nel muso del vagone

domenica 29 gennaio 2012

Il tizio che guida la metro (parte prima)



Il tizio che guida la metro non lo guarda mai nessuno.
L'autista dell'autobus, si.
Perché nessuno lo guarda? Perché nessuno fa caso alla sua presenza? Perché ti passa velocissimo davanti alla faccia e non riesci a scorgere nemmeno per un attimo che cosa gli passa per la testa?
Io ne ho visto uno l'altro giorno, prima di andare all'università. L'ho visto e ho pensato che fosse stupido non provarci, non tentare almeno per un secondo di capire che cazzo abbia in mente. E' una rarissima creatura, mistica e antropomorfa. Mezzo uomo, mezzo Metro. La parte per il tutto, insomma.
Il tizio che guida la metro è decisamente meglio di ogni autista di autobus possibile ed immaginabile. Anche se entrambi fanno, più o meno, sempre lo stesso percorso. Entrambi si rompono innegabilmente i coglioni. Ma c'è una differenza sostanziale e decisamente rilevante che li distingue. Tale differenza è riscontrabile nel vuoto, nel buio di fronte al tizio che guida la metro. E non ci vuole poi molto a capire che, al di là del soffondo da rotaie che marciano irruentemente sui binari, la sua mente ha il totale potere di viaggiare nell'oscurità che gli si  presenta di fronte. Un'eterna galleria dove la radio non funziona mai, neanche a pagarla, ma i neuroni si. I neuroni danno un party degno delle migliori rock star.
Il tizio che guida la metro ha la mia stima e il mio rispetto totale, perché mentre io sono costretta a immaginare le cose nei vincoli dei miei occhi, della loro strategica apertura, lui può fare quello che gli pare.
Può sentire le palpitazione dei cuori di due adolescenti distesi verticalmente sulle rotaie, ad aspettare l'ebbrezza della morte appena scampata.
Lui può vedere migliaia di topi correre alla velocità della luce nella sua stessa direzione. Li può vedere scappare, li può persino immaginare mentre sfrecciano incontro al loro pifferaio magico.
Il tizio che guida la metro ha anche una grossa fortuna. Senza fare il minimo sforzo può godersi l'immortale spettacolo che l'aura dai sette colori ci regala ogni tanto quando fissiamo una luce.
E' una piccola delizia del cuore per ogni bambino ma lui, lui può vederla sempre.
Ogni volta che incontra l'abbraccio di un altro vagone, si gode lo scontro di due luci che diventano un unico fascio, un sole accecante come non se ne vedono più da tempo.

sabato 26 novembre 2011

Andiamo a giocare all' Allegro chirurgo



Quando sfiori i confini e scatta l'allarme ti viene sempre un leggero brivido d'adrenalina, ma TU sai che puoi ritentare.

E' nella logica del ritentare che la famiglia di Hugo ha deciso per lui di portarlo a giocare in un posto lontano da casa. Un luogo dove i bambini conoscono bene le storie di ogni singolo animale proprio come lui.
E' uno zoologo nato ma ha anche attenzione per la matematica, per le forme, per il tono con cui gli parli.

- Noi stiamo facendo finta, vero piccolo Hugo?

E' una spugna, un genietto spugnoso piccolo piccolo, ma proporzionalmente molto molto grande.
Piccola mamma Mia lo sogna spesso ultimamente. Lo vede sopra un elefante, in mezzo alla savana che gli piace tanto. Hugo conosce tanti tipi di savana ma Piccola mamma Mia, no, adora che le insegni.
A lui piace salvarla come fosse una principessa imprigionata, o un erbivoro dinosauro via dall'estinzione.
Piccola mamma Mia ha inventato un animale apposta per lui, glielo ha messo su carta, ma l'unica risposta che ingegnosamente ha ricevuto dal suo bambino è stata che era assolutamente ruffiana e fuori tema. Le sue, però, erano parole molto meno arzigogolate e sicuramente di maggiore effetto.
Adesso che ripartirà per un posto bellissimo, pieno di pareti colorate e giochi e altre piccole mamme che lo osservano giocare Piccola mamma Mia è un po' preoccupata.
Non è facile lasciare che altre piccole mamme e piccoli papà lo osservino giocare. Piccola mamma Mia è così lontana, ormai da anni si vedono solo la notte.
E se gli occhi delle piccole mamme e dei piccoli papà lo portassero via da lei e dai giochi che tanto insieme gli piaceva fare non potrebbe perdonarsi d'esser stata via così a lungo.
Di non avere giocato abbastanza. D' aver staccato le mani nel turbine del suo solletico per paura di fargli male. D'aver detto di no ad una torta insieme per proteggere il pancino del suo piccolo Hugo.

Piccola mamma Mia è stata via troppo a lungo, è ora di tornare per portarti via dall'Allegro chirurgo.

giovedì 20 ottobre 2011

This Must Be The Velvet Place




Sorrentino è un sarto. Comprendo perfettamente che la metafora possa essere inflazionata quando si parla di un regista, me lo son sentita ripetere più volte in questo periodo. Il regista (ma il montatore soprattutto) è come un sarto che con estrema pazienza cuce a mano ogni angolo dell' idealistico completo che venderà alla sua clientela.
Sorrentino è un sarto, ma è uno di quelli ricurvi sulla macchina da cucito, coi calli nelle mani, gli occhi stanchi per la troppa applicazione e il piede che trema nervosissimo sul pedale immaginario che si porta dietro anche quando torna a casa dal lavoro.
"This must be the place" non è un film all' americana, gli orli inimitabili sono di matrice italiana come i migliori abiti del mondo. Sean Penn ha la delicatezza di un colletto portato appena appena in su' come un uomo elegante a cui frega poco che ciò che ha indosso sia macchiato di nero e di rossetto. I suoi capelli sono come le nuvole nere che immaginariamente rincorre nel film mentre si trova alla disperata ricerca del destinatario della vendetta paterna. No, Sean Penn non è assolutamente Robert Smith a me ha ricordato Lou Reed. Quel tono di voce che ti prende un po' in giro, l'animo dell'infante che non si sente amato, l'odio per se stesso e l'amore per gli altri. Gli altri stanno sotto di lui, e sono un coro di bottoni cuciti uno ad uno. Un coro di bottoni non si stacca mai così facilmente. La tua camicia, caro spettatore, ha una vestibilità perfetta e Francis McDormand è una moglie che non si trova più. Quella rockstar impaurita dal mondo fa l'amore con lei da 35 anni e non ha mai smesso un giorno di soddisfarla.
- Tu non sei depresso, forse confondi la depressione con la noia...
Non ricordo esattamente la battuta ma so per certo d'aver riflettuto più volte sul concetto.
Avevo bisogno di vedere un buon film per ricordarmi che certe sensazioni non cambiano neanche nei momenti più contorti della vita. Il tuo umore non scambia mai l'emozione autentica, se di questa si tratta, e i tuoi crampi te li godi tutti, non hai voglia di mangiare e non ti senti male.
Cheyenne, come molti di noi, ha imparato a fumare, ma quando lascia le nuvole nere per tornare a sorridere teneramente di fronte alla madre di Mary sai già che un po' ti mancherà il suo sguardo bambino. Paolo Sorrentino, con le sue inquadrature accoglienti ti fa sentire come se stessi un po' sfatto e stanco, svaccato sul sedile laterale del pick up di Cheyenne a fargli silenziosamente compagnia e ridere alle sue strane battute.
Io non ho dimenticato David Byrne. David Byrne è un vero artista, è un uomo di Dio, è la commozione di Penn dopo l'esecuzione della sua naive melody. Ha tanti capelli bianchi quanti colpi di genio e si sa, un buon sarto non può far a meno del tocco d'artista.

giovedì 13 ottobre 2011

Malick senza scarpe



Malick ha una sposa innamorata, gli porta il thé e gli allaccia le scarpe la mattina. Ogni nodo è un pensiero da ricordare. 
Il primo ripete a Malick che la sua è una sposa adorata. Si annoda più stretto ogni volta che cerca altri occhi.
Ti si blocca la circolazione e non riesci a camminare.
Il secondo ripete a Malick che la sua è una sposa profumata. A Malick piace il gelsomino, gli si contorce il naso se ne cerca l'odore sui colli degli altri.
Il nodo si stringe, il piede si arrossa e non riesci a camminare.
Il terzo ripete a Malick che la sua è una sposa illuminata. Conosce i luoghi dove correrebbero le ciglia del suo sposo curioso e le spalle sulle quali poggerebbe le labbra. 
Il terzo nodo è il più semplice da sciogliere. Si trova in superficie. Ma Malick ogni giorno si china e riallaccia il suo nodo, lo tiene ben stretto fino alla sera.
Il nodo ti stringi, il piede si arrossa e non riesci a camminare.
Malick ha passato una buona giornata. Il primo e il secondo nodo si son stretti più forte una sola volta sta mattina. La notte la sposa gli toglie le scarpe e si china supina accanto a lui. Malick la bacia, le è grato di averlo incatenato. Ma quando chiude gli occhi, sogna.
Malick senza scarpe incrocia gli sguardi, odora i colli, muove le labbra e balla e balla e balla.
Senza scarpe ha le ali di Hermes sul calcagno e senza scarpe è il Dio dei ladri e del guadagno.
Malick senza scarpe ha una moglie adorata, vorrei poterle dire quante volte le ha già spezzato il cuore.