Una frase spesso giunta alle mie orecchie e a volte (aimè) anche pronunciata dalla sottoscritta dice:
Adrenalina allo stato puro. USA straight to Sicily and return. Pezzi di “STU”, pezzi di “STO”, Flow the river flow, let me be l’ intramontabile, io che perdo la voce dopo 5 minuti esatti perché devo imparare a parlare di diaframma maledizione! Time machine, pezzo rivelazione dell’ultimo album,
- Cosa vuoi farci, è un problema di cultura.
Il secondo giorno del “Rock the casbah” conferma che un’ affermazione del genere non solo è banale ma in certi casi (e mi darò enormi picconate sui piedi se mi sbaglio), è anche deleteria.
Cercherò di spiegarmi meglio. Se la piccola piazza di S. Michele era piena fino all’orlo, tanto che si vocifera siano stai in 2000 per la seconda serata, non è perché il lungo lavoro dello staff del Rock the Casbah avesse sconfitto l’eterno male dell’anti-cultura, la vera battaglia vinta era quella della lotta ad un male che in fondo affligge tutto il nostro amato stivale: la pigrizia.
Se l’Italia è diventata il buffone della sorte d’Europa pur detenendo un patrimonio artistico invidiato dal mondo non è certo per una mancata sensibilità al bello. L’italiano ha il culto del bello nei neuroni, ce l’ha nelle vene. Il bello è la sua linfa vitale. Se il nostro paese legittima ( e questa sarà la mia prima ed ultima nota politica) determinati lestofanti a legiferare non è certo per stupidità, non siamo poi così gonzi da non accorgerci che un pappone d’alto borgo ci renderà i primi ad esser spazzati via dalla furia del 2012. Io direi che no, non è un problema di cultura. Come ho già detto, è frutto delle dinamiche dettate da un male molto più subdolo, meno visibile nella gestualità o udibile dalla gratuità con cui la gente dissemina parole e gioca con la loro “importanza”. Si perché come diceva Moretti (ammetterò che questa frase mi è stata molto ripetuta in vita) “le parole sono importanti” e allora diamo un nome alle cose.
Il 10 agosto 2011 è stata la “Giornata Provinciale contro la Pigrizia”. In una improbabile campagna pubblicitaria un uomo di mezza età dallo sguardo severo ma dal cuore buono, guarderebbe dritto in camera con fare alla Uncle Sam e direbbe:
Mazara ha detto no alla posizione del Buddha sulla sedia di plastica in mezzo alla strada! Mazara ha detto no agli ingorghi da raccordo anulare su via Garibaldi! Mazara ha detto no al tipo che fa il karaoke a Piazza Mokarta che è talmente fastidioso da trasformarci tutti in Gravilo Princip dalle sette di sera a mezzanotte!
A me me piace divagare, me piace straparlare, me piace ggiocà. Il punto però al di là delle mie divagazioni idiote sta nel successo ottenuto nonostante (e per fortuna) una line up “di cultura”. Il comune di Mazara ha speso in passato tantissimi soldini per i POOH. Con tutto il rispetto per i pionieri del pop-rock all’italiana (dove sarebbe Ligabue e il suo gilet altrimenti) qui ne son stati spesi molti meno e s’è fatto proprio un bello show.
All’apertura i Bananalonga, gruppo marsalese un po’ surf, un po’ rock and roll, un po’ caraibico un po’ divertente (anzi molto devo dire) capitanato dall’ironico Fabio Genco, stupendo con i suoi “Gracias…gracias…gracias” . Grande il mio stupore nel vedere gente di ogni età muoversi ondeggiando in stile “Hula”.
Subito a seguire il set acustico del Folk the Casbah con la suggestiva performance di Monique degli Honeybird and the Birdies. Uno spettacolo così ricco di contaminazioni di origini diverse da perdere il senso dello spazio e del tempo. Quando Monique canta percepisci che la somma dei colori che indossa è solo una piccolissima parte di quanto la sua fantasia possa e spaziare nei meandri della terra e trasformare le sensazioni in suono. Il pubblico era entusiasta e ancor di più lo è stato quando Simona Norato (già presente la sera prima con i Di Martino) si è unita in un coro appassionato.
A volte ti capita di vedere come una certa empatia si possa creare in pochissimi secondi quando (pur facendo musica totalmente diversa) alcuni musicisti si scambiano gli sguardi. Questo è quello che è accaduto quando dal palco principale , mentre Honeybird suonava ancora sul suo intimo palchetto, i Waines hanno cominciato ad accompagnarla seguendo una linea ascendente fino a prendere lentamente le redini del festival.
Adrenalina allo stato puro. USA straight to Sicily and return. Pezzi di “STU”, pezzi di “STO”, Flow the river flow, let me be l’ intramontabile, io che perdo la voce dopo 5 minuti esatti perché devo imparare a parlare di diaframma maledizione! Time machine, pezzo rivelazione dell’ultimo album,
il Mississippi pieno zeppo d’ anguille!
Non potevo essere discorsiva parlando dei Waines, avrei fatto loro un torto. Perché non ci suono vuoti nei brani di questo gruppo palermitano, non lo senti che gli manca il basso. L’unica cosa che riesci a percepire è il suono della vera malinconia alla Cadillac Records mescolarsi con il blu dei giorni nostri.
Subito dopo, la breve ma intensa esibizione del giovane ed eclettico Carpa Koi, abile miscelatore di folk siciliano e cantautorato contemporaneo.
C’è chi ha detto che la nota dolente del festival è stato il fatto che i Calibro 35 hanno suonato per troppo tempo. Ora, non voglio fare la solita “ascippa miluddra” della situazione ma onestamente il tempo mi è volato. Il progetto di Enrico Gabrielli e compagni è un qualcosa di così complesso ed è frutto di un lavoro così intenso che non può sentire il limite dell’ HANNO SUONATO TROPPO. Se solo ci si fermasse a riflettere su quanta minuziosità si possa ritrovare nella loro musica, quanta storia (perché di narrarla si tratta), esiste dietro ogni pezzo ci si godrebbe a pieno il groove elettro funk di “Convergere in Giambellino” (POPOPOPOPOPOPOPOPO POPO POPOPOPOPOOOP!! per noi che abbiamo fatto i cori), l’atmosfera ansiogena di “Milano odia la polizia non può sparare” e “Summertime Killer” a go go. I Calibro 35 non hanno suonato troppo, hanno suonato quanto bastava per tenermi sul filo del rasoio fino a quando hanno eseguito la loro splendida versione di “ Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” che (per tornare brevemente alla politica) è un film che conferma a pieno la mia tesi iniziale.
Lo staff del Rock the Casbah, puro nel suo essere ancora bambino, non ha conosciuto il senso della pigrizia. Se ne è infischiato alla grande del “problema della cultura” ed è riuscito a portarla gratis a tutti voi. Sarà forse per questo che i due giorni di Paolo Tedesco e soci son venuti fuori così bene.
Yok